Ebbene sì, dopo “Così parlò Zarathustra” e “Così parlò Bellavista”, è proprio il caso di dire “Così parlò Aurelio”.
“Il Napoli riparte da Bologna. Bravi tutti!”. Cit. Aurelio De Laurentis.
All’indomani della partita contro gli emiliani, il Presidente aveva commentato (o se preferite cinguettato) così la prestazione degli azzurri contro la squadra di Thiago Motta.
Molti tifosi davanti a questa affermazione avevano sorriso; altri, i “soliti leoni da tastiera”, avevano avuto l’ennesimo pretesto per dimostrare la propria eleganza nei confronti di un Presidente che, seppur vincente, risulta inopinatamente uno dei meno amati nella storia del calcio Napoli.
Ma alla luce dei fatti, ancora una volta, vista la prestazione in casa con l’Udinese, aveva ragione lui.
Il Napoli, che allo Stadio Diego Armando Maradona per la prima volta quest’anno vince, ma soprattutto convince, 4-1 contro i friulani con i gol di Osimhen, Kvara e Simeone, è davvero tanta roba e fa sperare tutti i cuori azzurri che arrivano a fine settembre stremati.
Dopo un calciomercato da incubo, con i propri beniamini che ogni giorno finivano venduti nei quattro angoli del mondo, si è dovuto, gioco forza, sorbire pure un inizio di stagione esteticamente squallido e, anche se più nel gioco che nei risultati, alquanto deludente.
Abituati alla grande bellezza, era difficile tutto d’un tratto adattarsi a un corto muso di “allegriana memoria”.
Oggi, per usare una frase cara a Garcia, speriamo finalmente che la chiesa Napoli sia finita di nuovo al centro del Villaggio.
E soprattutto che tutti, compreso il transalpino, abbiano capito che questa squadra è geneticamente nata per avere il pallone tra i piedi e non certo per giocare di rimessa.
D’altronde, nell’intervista post Udine, il ritrovato fenomeno Kvaratskhelia è stato chiaro: necessario per gli azzurri è tenere la palla.
Sicuramente una rondine non fa primavera e, diciamoci la verità, tutti i tifosi azzurri e addetti ai lavori non vedono l’ora di rivedere gli azzurri in campo contro il Lecce, avversario oggi sicuramente più impegnativo dei friulani, per capire fino in fondo se questa squadra ha di nuovo ripreso il cammino virtuoso della passata stagione.
Appare chiaro a tutti che, tra i tweet del Presidente, le interviste dei calciatori e le decisioni della Società, Squadra e Allenatore si siano guardati negli occhi e magari, chiarendosi, abbiano capito che il Napoli non conosce altra strada che porti alla vittoria se non quella della bellezza.
Questa squadra, fortissima nei suoi singoli in campo e in panchina, non può fare a meno dell’attrezzo di questo sport, la palla, quella meravigliosa sfera che un tempo era di cuoio, e grazie alla quale gli azzurri riescono a creare splendore.
L’attuale Napoli ha nel suo DNA fraseggi brevi, triangolazioni continue, possesso palla perenne; se a questo Garcia riuscirà ad aggiungere qualcosa di diverso, che renda il Napoli imprevedibile quando serve, ben venga, ma deve essere un elemento integrativo, non una dolce ossessione.
Siamo in un momento cruciale della stagione, sembra di rivivere i primi momenti del primo anno di Sarri, venuto a Napoli con la convinzione del trequartista (molti ricorderanno che invece attesa del mercato e dell’acquisto di Saponara, il malcapitato Insigne provò quel ruolo, ma con scarsi risultati), e finito poi con il passare al modulo 4-3-3, schema che da anni sta facendo la fortuna dei partenopei e dei suoi tifosi.
Oggi Garcia ha ragione quando dice che il Napoli, studiato dagli avversari, doveva presentare ai nastri di partenza qualche elemento di novità per dare una nuova freschezza al gioco partenopeo, ma è altrettanto vero che forse, quando in campo hai dei fuoriclasse, a fare la differenza è il genio calcistico, quel genio che non puoi incastrare tra rigidi schemi e che, grazie a Dio, nel Napoli non manca.
Diciamoci la verità, a questa squadra che nelle sue file conta gente come Lobotka, Kvara e Osimhen, la genialità certo non manca; affidarsi a loro per uscire dagli schemi è cosa buona e giusta, rifugiarsi in un gioco che ha visto il Napoli l’anno scorso dichiarato ingiocabile da tanti allenatori è cosa da fare.
Ora la palla passa al campo. Si va a Lecce con tante aspettative, ma soprattutto con la convinzione che gli azzurri hanno di nuovo imboccato la retta via.
Se poi martedì in Champions dovesse succedere di fare lo sgambetto al Real del nostro vecchio amico Carletto Ancelotti, a quel punto potete giurarci che tutto cambia, per non cambiare quello che l’anno scorso ha fatto innamorare.
Lo sappiamo tutti che, al di là dei tre punti, ci sono partite che possono davvero segnare le stagioni, e questa settimana ne abbiamo due che chiamare fondamentali è dire poco.
Gennaro Di Franco