DODICESIMO UOMO – L’avete chiesto ai tifosi?

da | 29 Mar 2024 | Redazione

Ammettiamolo, il calcio moderno è oggi sicuramente in preda ad una crisi di identità: squadre senza bandiere, maglie di calcio che sembrano  volantini di supermercati, senza vessilli e colori storici, stadi che diventano sempre più discoteche instagrammabili, che non templi domenicali dove sfoggiare la propria fede calcistica, scevra dei risultati, senza se e senza ma.

Diciamoci la verità: questo calcio, ai tempi del VAR, con regole che sono oggetto di interpretazione continua, non attira più come una volta.

Fuorigioco evidenti che vengono fischiati anche dopo tre minuti di gioco sono l’esatta rappresentazione, la punta di iceberg, di uno sport in cui le partite ormai assomigliano sempre più ad un’inutile pantomima, piuttosto che a sani e corretti incontri sportivi.

In questa direzione, calendari pazzi che costringono i tifosi a stare dieci giorni senza partite, per poi vedersi catapultati sugli spalti il sabato santo prima di Pasqua alle ore 12, vittime di un calcio che ormai ha perso di vista completamente il primo consumatore finale, quello che da anni stoicamente e, se volete, eroicamente e miracolosamente, resiste ai cambiamenti di uno sport, che era il più bello del mondo e che oggi rischia di diventare il più grottesco.

Il tifoso, si sa, è “malato” della sua passione, e questa sua malattia gli permette di non vedere, di sopportare maglie azzurre che a Natale diventano protagoniste di Alci e Babbi Natale, o che magari per San Valentino sono ignare destinatarie di enormi macchie di rossetto che nulla hanno a che vedere con la propria destinazione d’uso.

Il Malato oggi sopporta pazientemente, vittima della sua fede calcistica, subisce ogni tipo di angheria, sempre e per sempre dalla stessa parte della sua squadra del cuore. E così può capitare di trovarsi catapultato di giovedì, complice la Conference League, in mete improbabili dal gusto tutt’altro che esotico, per assistere a partite in terra cipriota, norvegese o, se vi aggrada, lituana, tanto per citare alcune delle nazioni partecipanti.

Tante volte vittima e spettatore privilegiato di questo spettacolo, mi domando: ma qualcuno ha chiesto ai tifosi?

Qualcuno ha chiesto se davvero sognavano un calcio con in campo le maglie con il numero 77, 99, 14, anziché la classica numerazione da uno a undici? Qualcuno ha chiesto ai tifosi se davvero sono entusiasti di esultare per un gol della propria squadra del cuore anche dopo due minuti in attesa del responso VAR?

Avete immaginato che forse per un tifoso lasciare il proprio stadio in nome del “Dio Business” forse non è esattamente una grande Idea?

Capisco che ormai le società di calcio sono sempre di più imprese, o meglio holding mondiali, dove la società è la casa madre e i singoli calciatori imprese individuali che per un periodo di tempo, più o meno lungo, si affiliano alla capogruppo. Ma siamo davvero sicuri che, andando avanti così, i tifosi, o sarebbe più corretto dire i clienti, resteranno per sempre seduti ai propri seggiolini nei propri stadi del cuore?

Io, per amore della verità, non ne sarei così sicuro. A gente come Giovanni Vincenzo Infantino, presidente FIFA, che sul proprio profilo Instagram, tutto festante in nome dello Show, dopo nemmeno un’ora dalla fine di Barcellona-Napoli, mostra in video la scritta Juventus F.C. (quest’anno squalificata in UEFA) e le dà il benvenuto al Mondiale per club del prossimo anno, vorrei fare solo una domanda: ma voi ai tifosi l’avete chiesto se era giusto cambiare così tanto il gioco del calcio? Se era necessario abbandonare la Coppa dei Campioni per farla diventare il Campionato dei Mercanti? Se era così inevitabile creare campionati spezzatini solo e soltanto per sacrificare il totocalcio al calcio scommesse?

In questo panorama dai confini scuri e sbiaditi, se non vogliamo che questo sport perda per sempre di appeal, è necessario forse ascoltare di più i tifosi e rimetterli al centro del progetto. Se non vogliamo che il calcio diventi in futuro solo uno sport da play, è fondamentale ridare credibilità. Bisogna ripartire con una programmazione seria e auspicabilmente condivisa da chi davvero ama questo sport, i tifosi!

Per ripartire servono persone e istituzioni credibili che facciano rispettare con serietà le regole. Fair Play finanziario e No to Racism non devono apparire come slogan senza senso ma concetti condivisi e, soprattutto, applicati da tutti. 

In quest’ottica l’Inter, futura campionessa d’Italia, e la decisione per la squalifica di Acerbi sono specchio di un calcio del vorrei ma non posso…che ci lasciano in attesa del Giudizio Universale.

Gennaro Di Franco