DODICESIMO UOMO – Un anno d’Amore

DODICESIMO UOMO – Un anno d’Amore

4 maggio 2023: Udinese-Napoli, gli azzurri campioni d’Italia. “È un anno, ci pensi che è un anno”, recitava una delle più belle canzoni napoletane, dal titolo “Passione”, scritta da Libero Bovio e interpretata magistralmente, tra gli altri, da Mina.

Ironia della sorte, a distanza di un anno, lunedì sera ci sarà un nuovo Udinese-Napoli, che però questa volta avrà per i sostenitori azzurri un sapore del tutto diverso rispetto alla passata stagione. 

Si torna in terra friulana con lo scudetto che, anche se ancora virtualmente sul petto, alberga ormai sulle maglie dell’Inter. 

Un anno è passato da quando i tifosi azzurri festanti invasero il campo del Friuli, tutti esaltanti, degni testimoni di una squadra capace, grazie alle sue prestazioni, di far parlare di sé in tutto il mondo calcistico.

Ed ora si ritorna sul luogo del delitto, questa volta purtroppo non più da vincenti, ma da squadra alla deriva, da squadra incapace quest’anno di difendere dignitosamente uno scudetto che a Napoli mancava da 33 anni. Imprevedibilmente e contro ogni statistica, Di Lorenzo e compagni sono riusciti nell’impossibile: in 365 giorni hanno dilapidato un patrimonio di gioco e passione che, a vedere le immagini della partita dello scorso anno, non era nemmeno lontanamente pensabile si potesse annientare.

I motivi di questo scempio sono tanti, analizzati e sviscerati nel corso di una stagione calcistica che ha lasciato tanto tempo alle riflessioni sulla genesi di questo vero e proprio disastro calcistico.

Analizzare le prestazioni calcistiche stagionali sarebbe stato un esercizio vuoto che rasenta il masochismo.

Svarioni difensivi, rigori sbagliati, gente che giustificava un clamoroso mancato stop con il sole negli occhi, litigi in campo e, con molta probabilità, fuori dal campo, hanno reso questa stagione storica. 

Gli azzurri rischiano di ritornare negli annali del calcio come la squadra con il peggior piazzamento di sempre dopo la vittoria dello scudetto.

Speravamo nel quinto posto della Champions, successivamente in un piazzamento in Europa League, ed ora siamo qui a dibattere se riusciremo a qualificarci per la Conference League, che darebbe quanto meno la gioia ai tifosi, e alla città tutta, di non perdere il record di presenza in Europa, un primato in Italia di non poco valore, che, diciamola tutta, sarebbe il minimo sindacale, visto l’organico di questa squadra.

A Calzona il compito di far capire a questi ragazzi che un finale di campionato degno della maglia che portano è una cosa davvero importante. Prestazioni come quella contro l’Empoli sono indegne per una tifoseria che, se pur ferita nell’orgoglio, ha saputo pazientemente, e direi quasi paternamente, giustificare un’annata che fa male a tutti, e che, sono sicuro, fa male anche ai calciatori, rei come la società di non aver saputo gestire il brivido della vittoria.

Alla società, con a capo il Presidente, ora tocca rifondare, partendo dalla consapevolezza che quest’anno è stato il peggiore di sempre. 

De Laurentiis è stato sicuramente bravo nell’ammettere che molte colpe di questa stagione balorda sono attribuibili a lui, ma deve anche tenere conto che, in questa città che si trova sotto le falde di un Vulcano attivo e che convive con il mito di Maradona, sognare di vincere il tricolore tutti gli anni non è da illusi ma da tifosi, che vivono di passione. Quella stessa passione che, al di là del risultato calcistico, ha ostinatamente portato la città a mostrare con fierezza, per le sue piazze ed i suoi vicoli, striscioni e bandiere che non sono semplicemente il simbolo di una vittoria di uno scudetto, ma l’emblema di un’identità che orgogliosamente ama i suoi colori.

Perché qui c’è Passione… perché “tu m’he’mmiso int’e vvene nu veleno ch’è ddoce… te voglio te pienzo e te chiammo…’….nce ann ce piens che e ann……”

Gennaro Di Franco 

De Giovanni a IBDC: “Si pensa poco ai tifosi, soprattutto quelli fuori Napoli”

De Giovanni a IBDC: “Si pensa poco ai tifosi, soprattutto quelli fuori Napoli”

Maurizio De Giovanni, presente a ‘Il Bello del Calcio’ a 11 Televomero, ha effettuato un monologo a inizio puntata.

Questo il lungo messaggio del popolare scrittore:

“Oggi, in un programma di tifosi in una radio napoletana, ha telefonato un tifoso dal Brasile. Ha detto qualche parola all’inizio qualificandosi e dicendo chi era e da dove chiamasse. Telefonava da una città minore del Brasile.
Dopo qualche parola, è scoppiato a piangere e il conduttore gli ha chiesto perché. Lui ha risposto che quando il Napoli perde, la sua settimana è tutta diversa nei rapporti sociali con le persone.

Io credo che si pensi poco ai tifosi: non solo ai napoletani che vanno al Maradona a sostenere la squadra, come un tifoso deve fare, e che fischiano a fine partita come hanno diritto di fare. Si pensa poco soprattutto a quelli che sono fuori Napoli, cambia tutto. Essere tifoso del Napoli è questione d’identità, non finisce con la fine della partita. Manca un pezzo. I tifosi fuori da Napoli sono stati molto felici, per loro è ancora più bruciante dover vivere questa condizione. Credo che la società, i giocatori, l’allenatore e lo staff tecnico dovrebbero pensare di più ai tifosi: quella maglietta, come tutte le altre, rappresenta qualcosa. Ma questa maglietta rappresenta l’anima, l’umore e lo stato d’animo di una città. Sarebbe giusto ricordarsene e dare un po’ di più, non soltanto per vincere ma soprattutto per sapere di essere usciti dal campo sapendo di aver dato tutto.

I tifosi del Napoli applaudono se perdi ma hai dato tutto, ma questa squadra non sta dando tutto e non è nemmeno una squadra in questo momento.
Credo sia necessario un momento di riflessione pensando ai tifosi lontano da Napoli e ai club di tifosi che si riuniscono solo per vedere la partita e per specchiare, nei loro occhi, la loro identità”.

Cassano contro De Laurentiis: “Il disastro è colpa sua”

Cassano contro De Laurentiis: “Il disastro è colpa sua”

Antonio Cassano “distrugge” il lavoro di Aurelio De Laurentiis. L’ex calciatore di Roma e Real Madrid, direttamente dai microfoni Rai durante la Domenica Sportiva, ha commentato la stagione del Napoli.

“Il disastro di quest’anno lo ha fatto De Laurentiis, è colpa sua. Non ha saputo scegliere l’allenatore giusto” le parole di Cassano sul patron azzurro.

Ciao, Alfonso

Ciao, Alfonso

Con il cuore colmo di tristezza, la famiglia de Il Bello del Calcio comunica la scomparsa di Alfonso Quaranta, ideatore e produttore dei fortunati programmi che da quindici anni ormai ci accompagnano.
La storia di Alfonso parte da lontano: da illuminato imprenditore nel settore automobilistico e in quello della ristorazione, fino all’approdo in tv con il format de “Il Bello del Calcio” – che in pochi anni è riuscito subito a imporsi tra le emittenti campane chiamando a sé le migliori attenzioni anche nazionali – e qualche anno più tardi di “Giochiamo d’Anticipo”.
Grazie alle geniali trovate e alla sua passione mai tramontata fino all’ultimo giorno, Alfonso è stato un faro sin dal primo momento per tutti noi che lo abbiamo accompagnato dentro e fuori le scene, prima, dopo e durante la messa in onda dei programmi che ha sempre seguito ogni giorno della sua vita lavorativa.
Grazie anche e soprattutto al suo lavoro, le nostre trasmissioni hanno sempre offerto e ancora offrono ai nostri numerosi telespettatori ospiti di calibro nazionale e internazionale, per raccontare con lucidità, arguzia e professionalità le vicende relative al calcio napoletano e nazionale in toto.
Non dimenticheremo in alcun modo i suoi insegnamenti e proveremo ogni volta a onorare la sua memoria. Il Bello del Calcio e Giochiamo d’Anticipo sono creature nate dalla sua volontà e dalla sua passione per quel calcio che ha sempre seguito con discrezione e educazione, negli ultimi anni già condiviso con l’attività e il lavoro di Claudia Mercurio, ideatrice con lui dei format, conduttrice e parte integrante di quella produzione che da oggi accelera nella memoria di Alfonso.
Il suo essere vulcanico e ribelle, il suo essere sognatore innamorato del lavoro, proveremo a riversarlo ora nel nostro lavoro quotidiano, con la missione di offrire sempre ai nostri telespettatori il programma migliore anche nei prossimi anni. Proprio come ci ha insegnato lui.

La redazione

DODICESIMO UOMO – L’avete chiesto ai tifosi?

DODICESIMO UOMO – L’avete chiesto ai tifosi?

Ammettiamolo, il calcio moderno è oggi sicuramente in preda ad una crisi di identità: squadre senza bandiere, maglie di calcio che sembrano  volantini di supermercati, senza vessilli e colori storici, stadi che diventano sempre più discoteche instagrammabili, che non templi domenicali dove sfoggiare la propria fede calcistica, scevra dei risultati, senza se e senza ma.

Diciamoci la verità: questo calcio, ai tempi del VAR, con regole che sono oggetto di interpretazione continua, non attira più come una volta.

Fuorigioco evidenti che vengono fischiati anche dopo tre minuti di gioco sono l’esatta rappresentazione, la punta di iceberg, di uno sport in cui le partite ormai assomigliano sempre più ad un’inutile pantomima, piuttosto che a sani e corretti incontri sportivi.

In questa direzione, calendari pazzi che costringono i tifosi a stare dieci giorni senza partite, per poi vedersi catapultati sugli spalti il sabato santo prima di Pasqua alle ore 12, vittime di un calcio che ormai ha perso di vista completamente il primo consumatore finale, quello che da anni stoicamente e, se volete, eroicamente e miracolosamente, resiste ai cambiamenti di uno sport, che era il più bello del mondo e che oggi rischia di diventare il più grottesco.

Il tifoso, si sa, è “malato” della sua passione, e questa sua malattia gli permette di non vedere, di sopportare maglie azzurre che a Natale diventano protagoniste di Alci e Babbi Natale, o che magari per San Valentino sono ignare destinatarie di enormi macchie di rossetto che nulla hanno a che vedere con la propria destinazione d’uso.

Il Malato oggi sopporta pazientemente, vittima della sua fede calcistica, subisce ogni tipo di angheria, sempre e per sempre dalla stessa parte della sua squadra del cuore. E così può capitare di trovarsi catapultato di giovedì, complice la Conference League, in mete improbabili dal gusto tutt’altro che esotico, per assistere a partite in terra cipriota, norvegese o, se vi aggrada, lituana, tanto per citare alcune delle nazioni partecipanti.

Tante volte vittima e spettatore privilegiato di questo spettacolo, mi domando: ma qualcuno ha chiesto ai tifosi?

Qualcuno ha chiesto se davvero sognavano un calcio con in campo le maglie con il numero 77, 99, 14, anziché la classica numerazione da uno a undici? Qualcuno ha chiesto ai tifosi se davvero sono entusiasti di esultare per un gol della propria squadra del cuore anche dopo due minuti in attesa del responso VAR?

Avete immaginato che forse per un tifoso lasciare il proprio stadio in nome del “Dio Business” forse non è esattamente una grande Idea?

Capisco che ormai le società di calcio sono sempre di più imprese, o meglio holding mondiali, dove la società è la casa madre e i singoli calciatori imprese individuali che per un periodo di tempo, più o meno lungo, si affiliano alla capogruppo. Ma siamo davvero sicuri che, andando avanti così, i tifosi, o sarebbe più corretto dire i clienti, resteranno per sempre seduti ai propri seggiolini nei propri stadi del cuore?

Io, per amore della verità, non ne sarei così sicuro. A gente come Giovanni Vincenzo Infantino, presidente FIFA, che sul proprio profilo Instagram, tutto festante in nome dello Show, dopo nemmeno un’ora dalla fine di Barcellona-Napoli, mostra in video la scritta Juventus F.C. (quest’anno squalificata in UEFA) e le dà il benvenuto al Mondiale per club del prossimo anno, vorrei fare solo una domanda: ma voi ai tifosi l’avete chiesto se era giusto cambiare così tanto il gioco del calcio? Se era necessario abbandonare la Coppa dei Campioni per farla diventare il Campionato dei Mercanti? Se era così inevitabile creare campionati spezzatini solo e soltanto per sacrificare il totocalcio al calcio scommesse?

In questo panorama dai confini scuri e sbiaditi, se non vogliamo che questo sport perda per sempre di appeal, è necessario forse ascoltare di più i tifosi e rimetterli al centro del progetto. Se non vogliamo che il calcio diventi in futuro solo uno sport da play, è fondamentale ridare credibilità. Bisogna ripartire con una programmazione seria e auspicabilmente condivisa da chi davvero ama questo sport, i tifosi!

Per ripartire servono persone e istituzioni credibili che facciano rispettare con serietà le regole. Fair Play finanziario e No to Racism non devono apparire come slogan senza senso ma concetti condivisi e, soprattutto, applicati da tutti. 

In quest’ottica l’Inter, futura campionessa d’Italia, e la decisione per la squalifica di Acerbi sono specchio di un calcio del vorrei ma non posso…che ci lasciano in attesa del Giudizio Universale.

Gennaro Di Franco